Conoscere il proprio destino, aprire uno spiraglio
su quanto avviene dopo la morte è una
curiosità comune a tutti gli uomini, una
domanda che, pur in una cultura appiattita
sul presente, assume spesso carattere di
urgenza, diventa bisogno. Ricerche di senso
ultimo che a volte sconfinano nell’affidarsi
alla magia, agli oroscopi, a certi racconti di
risvegli dal coma esprimono l’inestirpabile
desiderio umano di vedere oltre l’incertezza
del proprio futuro.
Da questo desiderio, al quale tutte le religioni offrono una risposta, parte Giacomo Canobbio per ripercorrere quanto propone la teologia cristiana. Senza sottrarsi alle provocazioni della cultura attuale, egli si confronta con i risultati della ricerca scientifica così come con la riflessione filosofica, analizzando modelli di visione della morte e obiezioni anche autorevoli a una vita ultraterrena. Ne derivano illuminanti spunti di riflessione sui ‘novissimi’, su destino e libertà, sull’anima umana, sulla necessità di un cammino di purificazione. E l’esito cui si viene condotti è che quel desiderio di ogni uomo di non perdere con la morte la ricchezza della vita è traccia del destino stabilito da Dio per noi: un destino di pienezza, di ‘beatitudine’.
La fede cristiana, ci dice Canobbio, risponde alle questioni che attengono al fine ultimo dell’esistenza umana procedendo dall’identità stessa di Dio, che è sommo bene e non può che destinarci al bene: «Credere in Dio è confessare che colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai nostri corpi mortali per mezzo dello Spirito che abita in noi (cfr. Rm 8,11)».
Da questo desiderio, al quale tutte le religioni offrono una risposta, parte Giacomo Canobbio per ripercorrere quanto propone la teologia cristiana. Senza sottrarsi alle provocazioni della cultura attuale, egli si confronta con i risultati della ricerca scientifica così come con la riflessione filosofica, analizzando modelli di visione della morte e obiezioni anche autorevoli a una vita ultraterrena. Ne derivano illuminanti spunti di riflessione sui ‘novissimi’, su destino e libertà, sull’anima umana, sulla necessità di un cammino di purificazione. E l’esito cui si viene condotti è che quel desiderio di ogni uomo di non perdere con la morte la ricchezza della vita è traccia del destino stabilito da Dio per noi: un destino di pienezza, di ‘beatitudine’.
La fede cristiana, ci dice Canobbio, risponde alle questioni che attengono al fine ultimo dell’esistenza umana procedendo dall’identità stessa di Dio, che è sommo bene e non può che destinarci al bene: «Credere in Dio è confessare che colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai nostri corpi mortali per mezzo dello Spirito che abita in noi (cfr. Rm 8,11)».
Author biography
Giacomo Canobbio è docente di Teologia sistematica
presso la Facoltà Teologica dell’Ita lia
Settentrionale. Tra le sue pubblicazioni più
recenti si segnalano: Dio può soffrire? (2005),
Chiese, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua
recezione (2007), Nessuna salvezza fuori dalla
Chiesa? Storia e senso di un controverso principio
teologico (2009), Il destino dell’anima.
Elementi per una teologia (2009), La rinascita
del paganesimo (2011, con F. Dalla Vecchia e
R. Maiolini).